Il motivo per cui non dovresti mai dire "Non è successo niente" ad un bambino che piange

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di Claudia Melucci

27 Ottobre 2018

Il motivo per cui non dovresti mai dire "Non è successo niente" ad un bambino che piange
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Il pianto è per i bambini il principale strumento di comunicazione: non solo quando non hanno ancora imparato a parlare ed è quindi normale che piangano per dire "ho freddo", "ho fame", ma anche quando sono più grandi. I bambini piangono essenzialmente per due motivi: o per un dolore o per qualche problema legato alle emozioni.

I genitori hanno spesso l'abitudine di far seguire la frase "Non è successo nulla" al pianto del proprio bambino: per i pediatri si tratta di un modo completamente sbagliato di consolare che, oltre a non essere efficace, nuoce anche allo sviluppo e alla qualità della relazione genitore-figlio. 

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"Non è successo niente" è la prima cosa che viene in mente di dire quando si tratta di dover consolare un bambino: in questo modo, però, si negano le sue emozioni e non si tiene conto del motivo che ha scatenato quella reazione. 

Il motivo per cui un bambino piange sicuramente non sarà grave, ma per un bambino lo è... eccome! Se rispondiamo al loro pianto – che può essere causato da un dolore fisico o da un disagio interiore – "Non è niente", stiamo rendendo poco importante ciò che ha scatenato le lacrime. Chiaramente dietro quel "Non è successo niente" c'è l'intento da parte del genitore di consolare il bambino, di calmarlo e di farlo smettere di piangere: i bambini, però, apprendono il senso letterale delle frasi, non sono ancora in grado di capirne il senso astratto o il messaggio che c'è dietro una certa espressione. 

Quando piangono perché qualcosa di grave è successo e si sentono dire dai genitori "Non è niente", vanno nella confusione più totale: per capirlo, il genitore di si dovrebbe mettere nei panni del proprio figlio. Immaginate di procurarvi del dolore accidentalmente, con una martellata sul dito ad esempio: come reagireste se qualcuno vi venisse vicino e vi dicesse "Non è niente"? Il dolore c'è, esiste, lo percepisco... Come può non essere niente?

Quando un bambino si sente incompreso da parte di chi invece dovrebbe comprendere sviluppa un senso di rabbia, frustrazione e incomprensione. A lungo termine, molto probabilmente, smetterà di comunicare al genitore cosa gli provoca dolore o malessere.

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Trasformare in positivo frasi inutili come "Non è niente di grave", si può.

Per consolare efficacemente i bambini, bisogna prima di tutto ascoltarli per entrare in sintonia con loro; provare a mettersi nei loro panni. Una volta figurato il dolore che provano, si possono dire frasi come:

  • Se cade dalla bicicletta e si fa male: "Lo so che ti fa molto male questa ferita; con un cerotto e un bacio sarà tutto passato"
  • Se non vuole andare dal dentista: "Ti capisco perché non vuoi andare dal dentista, ti fa paura: ma serve per eliminare ciò che ti ptovoca dolore nella bocca."
  • Se piange dopo aver bisticciato con un amico: "Capisco che il suo comportamento ti ha fatto male; prova a parlargli per cercare di risolvere."

Un genitore non vuole che suo figlio pianga, vorrebbe evitarlo sempre: eppure, il pianto – per un bambino come per un adulto – è molto importante, perché si tratta di uno sfogo che riuscirà ad eliminare rabbia o tristezza covata a lungo. Anche il pianto non dovrebbe essere interrotto con un "Smetti di piangere adesso", ma in alcuni casi dovrebbe essere incentivato con un "Piangi tutto quello che ti serve ora che puoi, io sarò qui a farti compagnia."

Non pensate che molti consigli che si danno sull'educazione dei bambini possano essere efficaci anche per le relazioni tra adulti? Noi ne siamo convinti!

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