Milioni di bambini "nemici" di Stalin: una fetta di storia dei Gulag che forse non conoscete

di Giulia Bertoni

25 Settembre 2017

Milioni di bambini "nemici" di Stalin: una fetta di storia dei Gulag che forse non conoscete
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La parola gulag, spesso scritta GULag, è l'acronimo russo per Direzione principale dei campi di lavoro correttivi.
La nascita di questi luoghi in tutta l'URSS comunista è qualcosa di cui tutti abbiamo sentito parlare, anche perché nel secondo dopoguerra una significativa parte dei reclusi fu costituita da tutti quei prigionieri appartenenti ai paesi occupati dall'Armata Rossa.
In pochi sanno, però, che in questi campi di rieducazione venivano portati, o nascevano, anche tantissimi bambini.

via hepg.org

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In epoca staliniana centinaia di migliaia di bambini vennero spediti (o nascevano) in questi campi di rieducazione, colpevoli di discendere dalla feccia peggiore: quella dei nemici della patria e degli oppositori politici.
Con l'idea che essere parenti di queste persone potesse essere sufficiente a renderli un pericolo per il futuro del paese, i bambini venivano strappati alle loro famiglie, abusati, affamati e lasciati morire. Crescevano senza sapere nulla delle loro famiglie, passati da un gulag all'altro, da un orfanotrofio all'altro, convinti che tutti i bambini del mondo vivessero così.

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Un libro del 2010, Children of the Gulag, scritto da un'esperta americana (Cathy A. Frierson) e da un sopravvissuto (Semyon S. Vilensky), presentò per la prima volta al mondo racconti particolarmente dettagliati su questa fetta di storia, per anni e anni tenuta nascosta all'interno degli archivi storici di stato russi.
Il testo raccoglie memorie, interviste e lettere spedite dai gulag, spiega come avveniva la persecuzione dei bambini, chi sapeva e chi cercò di fare qualcosa a riguardo. Gli aneddoti sulle atroci sofferenze patite dai bambini sono di vario tipo: medici che rinunciavano a fare il vaccino anti-vaiolo perché avevano di fronte corpi troppo emaciati, sepolture di massa, identità dimenticate...

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Con la scusa del combattere le idee dei nemici della patria, nei gulag venivano spediti anche tantissimi membri di minoranze etniche, delle quali si cercava di distruggere la cultura e il nazionalismo: di quelli deportati dalla Lituania e dall'Estonia, ad esempio, si pensa che il 70% fosse composto da donne e da bambini al di sotto dei 16 anni.

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Emblematica è la storia di una bambina buriata di nome Engelsina "Gelya" Sergeyevna Markizova che nel gennaio del 1936 fu fotografata insieme al "indomabile uomo d'acciaio": lo scatto divenne uno dei più utilizzati nella propaganda comunista, mostrando Stalin come il grande padre della patria.
Nell'arco di due anni, però, il destino di Gelya e della sua famiglia si sarebbe scontrato con la dura realtà: il padre della piccola, che lavorava come ufficiale agricolo della regione di Buryat, venne accusato di essere una spia legata ai giapponesi, un trotskista e, naturalmente, un nemico della patria. Le accuse erano false ma nel 1938 venne fucilato. Sua moglie venne arrestata e dopo un anno spedita in Kazakistan, dove morì all'età di 32 anni. E così accadde che Gelya rimase orfana e l'identità della bambina nella fotografia venne attribuita a un'altra persona.

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In numeri esatti di morti bambini nei gulag non sono chiari (si tratta di decine di milioni), ma pensate che solo negli anni Trenta, dei circa 20 milioni di deportati, 8 milioni erano bambini (ben il 40%).

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